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Covid-19 – Brescacin (ZP): «Tamponi rapidi autorizzati dal ministero. Erano l’unica tecnologia disponibile oltre ai molecolari. L’alternativa sarebbe stata non far nulla e stare a guardare. Mi spiace per i consiglieri PD, ma non siamo abituati ad agire in questo modo»
Pubblicato il 28 Aprile 2021

Venezia, 28 aprile 2021 – «Uno studio non autorizzato, che per mesi nessuno sembra aver visto o letto se non i consiglieri del PD, realizzato su campioni quantomeno ridotti, sembrava ventilare la scarsa affidabilità dei tamponi rapidi, quei tamponi impiegati in modo massivo per gli screening nelle strutture sanitarie come in molte sedi di lavoro. Questi tamponi, però, ci hanno permesso di fare indagini ravvicinate, su indicazione ministeriale, a distanza di pochi giorni una dall’altra. Facendo i tamponi molecolari, non avremmo mai potuto mantenere questi ritmi. L’alternativa sarebbe stata solo non far nulla. Evidentemente per i colleghi del PD, questa opzione era preferibile». Sonia Brescacin (Zaia Presidente), presidente della Quinta commissione Sanità, interviene in questo modo sulle tematiche affrontata dalla trasmissione Rai Report.

«Ricordo a chi ora si affanna a criticare i tamponi rapidi che una circolare ministeriale dell’8 gennaio stabilisce che i tamponi rapidi di prima e seconda generazione hanno la stessa validità dei tamponi molecolari, se effettuati a pochi giorni di distanza. E nelle nostre case di riposo, come ha ben evidenziato il presidente Luca Zaia, il personale veniva sottoposto a tampone ogni 4 giorni. Quanti contagi sarebbero sfuggiti, tra novembre e dicembre, senza questi screening? Quante persone fragili avremmo potuto contagiare? Ma poi, su che basi si accusano questi tamponi? Consideriamo che solo il mondo sanitario e delle RSA conta 60mila operatori sanitari del Servizio sanitario regionale, 30mila ospiti delle RSA, 34mila lavoratori delle RSA. Parliamo quindi di circa 124mila persone. Considerando una capacità di refertazione di circa 20mila tamponi molecolari al giorno, ci sarebbero voluti 6 giorni per sottoporre a screening solo il personale sanitario e delle RSA. E tutto il resto della popolazione? Ieri la dottoressa Antonia Ricci, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, è stata poi molto chiara: su 1441 tamponi esaminati, solo 18 sono risultati incongruenti, cioè negativi al test rapido e positivi al tampone molecolare. Di questi 18, solo 12 sono stati ulteriormente studiati perché il test molecolare era un “vero positivo”, ovvero con alta soglia di positività. Di questi 12, 8 sono stati sottoposti a sequenziamento completo e, rispetto a questi 8, su 3 tamponi è stata trovata una doppia mutazione della proteina N, che potrebbe spiegare perché il tampone antigenico non è stato in grado di diagnosticarli. Nel famigerato studio è stato indicato il sospetto che l’utilizzo di questi test antigenici, che non rilevano la variante, sarebbe stato la causa dell’enorme incremento dei casi in Veneto. In realtà si è visto che a partire da metà dicembre, la percentuale di questa variante è crollata. Non c’è nessuna evidenza, quindi, che può confermare questa ipotesi. Ripeto, l’alternativa a non fare questi tamponi sarebbe stata il non far nulla. Restare a guardare, in attesa che il contagio si diffondesse e altre persone perdessero la vita. Mi spiace per i consiglieri del PD, ma non è nel nostro modo di lavorare stare fermi e aspettare che le cose migliorino da soli. Siamo abituati a lavorare, seguendo le indicazioni dei tecnici che riteniamo essere più esperti di noi e, sicuramente, anche di loro».

«C’è poi un altro aspetto da considerare – continua la presidente della Commissione Sanità -: dall’inizio legislatura, la Quinta commissione si è riunita 16 volte. L’assessore Lanzarin è sempre stata presente e, in particolare cinque sedute sono state, con apposita audizione, dedicate dall’assessore ad illustrare, insieme ai tecnici, l’imponente lavoro sanitario svolto in ambito Covid e campagna vaccinale e per rispondere a tutte le domande dei consiglieri, senza limitazioni. Eppure, dopo ogni audizione, i consiglieri con comunicati o comparsate televisive sollevavano presunti problemi nella gestione della pandemia o accusavano la Regione di scarsa trasparenza, creando allarmi e disinformazione tra i cittadini».